NAPOLI - Su Instagram ha denunciato di essere stata vittima di una vicenda molto grave di malasanità in seguito alla sua decisione di abortire.
L'esame strumentale dall'esito falsificato
"Tre mesi fa ho abortito - ha raccontato la 33enne in un post diventato caso nazionale - Ho iniziato la procedura all’ospedale San Paolo: il ginecologo che mi ha visitato è partito chiedendomi se avessi un partner e quale lavoro facesse. Nessuno ha chiesto il mio nome. Nessuno ha chiesto di verificare il mio documento per accertarsi che non fossi minorenne. Ha aggiunto all’ecografia due settimane a quelle effettive, a voce ne ha aggiunte due e per iscritto ne ha aggiunta un’altra ancora, invitandomi a riflettere sul fatto che essendo arrivati così avanti significava che volessimo tenerlo. Non mi tornava il conto. Ho fatto alcuni calcoli e gli ho comunicato che c’era un errore e lui mi ha fatto intendere che forse stavo confondendo il partner, o che avevo calcolato male perché 'lo dice la macchina' non lui. Quando gli ho chiesto di firmare l’ecografia si è rifiutato. Ho deciso di ripetere l’ecografia da un ginecologo privato che mi ha spiegato che quello dell'ospedale aveva inserito dei parametri errati anche per far apparire l'immagine del feto più grande di quanto fosse in realtà". Insomma il medico voleva spingerla a non interrompere la gravidanza con l'inganno, addirittura attraverso un esame strumentale dall'esito falsificato.
Al Cardarelli una "esperienza terrificante"
L'odissea della ragazza purtroppo non finisce quando il suo caso approda al Cardarelli, anzi è solo agli inizi. "Scopro - prosegue che accettano casi di Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza, ndR) solo il mercoledì perché negli altri giorni ci sono solo obiettori. Non mi è stata somministrata la pillola abortiva perché con i tempi d'attesa, dato il numero della domanda rispetto alla possibilità di soddisfarla, non ci stavo più dentro. Devo operarmi in anestesia totale. La mia esperienza in ospedale è stata tanto terrificante da farmi dubitare di ripetere un Ivg se mi fosse ricapitato, perché il personale sanitario rende volutamente scoraggiante l'accesso a quello che dovrebbe essere un diritto di autodeterminarsi".
Linda Feki usa la parola 'terrificante' ed in effetti il suo racconto è di quelli difficili da leggere. "Dopo che ho assunto la pillola preoperatoria ho vomitato - prosegue - in bagno mancava la carta e ho letteralmente dovuto chiamare un'infermiera con il vomito in bocca aspettando di essere aiutata. Dopo circa un'ora è arrivato il chirurgo chiedendo a me 'se volessi assumere un'altra pillola'. Dopo 3 ore mi sono alzata comunicando di essere pronta per l'intervento perché nessuno è mai venuto a chiamarmi. Hanno avvisato la mia famiglia in sala d'attesa un'ora dopo la fine dell'intervento. Dopo l'operazione ho chiesto all'infermiera cii staccarmi la flebo e mi ha risposto: 'sono obiettrice' ed è andata via". È così che funziona l'obiezione di coscienza? Il personale medico può rifiutarsi di curare una paziente anche nel decorso post operatorio?
Ramanzine dopo l'operazione e l'iniezione "dimenticata"
È stato straziante ricevere le ramanzine da chirurgo e infermieri subito dopo l'operazione", va avanti la musicista. "Condividevo la stanza con altre due ragazze e nessuno è mai venuto a soccorrerci (hanno inviato qualcuno a pulire il pavimento sporco di sangue dopo ore). Nonostante mi sia sottoposta ad un operazione il chirurgo mi ha comunicato di non aver rimosso tutto completamente e quindi ho dovuto assumere un farmaco per due settimane che dolorosamente mi ha permesso di espellere tutto quello che sarebbe dovuto essere aspirato con l'operazione. Questo mi ha debilitato per altre due settimane. Le visite post operatorie sono state drammatiche: ho atteso quasi sempre 5 ore".
E ancora: "Il mio gruppo sanguigno è Rh negativo. Avrei dovuto ricevere un'iniezione per non avere complicazioni nella gravidanza successiva". Iniezione mai ricevuta "e non ne sono stata informata". "Sono riuscita a farla a 48 ore dall'aborto perché per caso ho fatto delle ricerche sulle procedure d'aborto il giorno dopo l'operazione. Sono andata in ospedale per l'iniezione e quando ho chiesto spiegazioni il personale si è deresponsabilizzato". "Una donna con meno curiosità, un livello di istruzione più bassa, e magari che non parla bene italiano non avrebbe mai potuto riceverla", conclude.
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