Cresce di ora in ora il drammatico bilancio del naufragio di un barcone di migranti avvenuto giovedì tra le coste del Libano e della Siria. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, i corpi recuperati in mare sono 81, per la maggior parte di donne e bambini, mentre circa 20 sono le persone sopravvissute e portate in ospedale. Si stima che sull’imbarcazione naufragata al largo della città siriana di Tartus fossero stipate 150 persone, per lo più famiglie. Come quella di Hanaa Tellawi, annegata insieme ai suoi quattro figli, mentre il marito Wissam è riuscito a salvarsi.
Insieme ad altri disperati, stavano cercando di scappare dalla “prigione a cielo aperto” che è diventata la Siria, dilaniata da undici anni di guerra, trovano un primo rifugio proprio nel Paese dei cedri. Le organizzazioni umanitarie stimano che, attualmente, in Libano vivano 1,5 milioni di rifugiati siriani - il numero più alto di rifugiati pro-capite al mondo - che cercano, con ogni mezzo di raggiungere le coste dell’Europa, anche affidandosi ai trafficanti di esseri umani e arrivando a pagare dai 4 ai 7mila dollari per un posto su questi barconi della morte. Come quello affondato al largo di Tartus.
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