"La mia piccola vita interrotta mi fece diventare l'altra. L'ebrea. Ricordo quel giorno, ero a tavola e mi dissero che non sarei più potuta andare a scuola. Perchè? Perchè ero stata espulsa. Siamo ebrei e non possiamo più fare tante cose. Mi spiegarono. Erano le leggi razziali. Tra le cose più brutte che fecero fu quello di rendere i bambini invisibili".
"Cominciò una escalation di paura nella mia famiglia. Via vai di poliziotti e di familiari che partivano. Noi si restò perchè in fondo in Italia non srebbe successo niente".
"Dopo l'8 settembre la gente cominciò a scappare. Noi non eravamo pronti. Ma alla nostra porta bussò un amico, si propose di aiutarmi, di nascondermi. Solo dopo capì che avevano rischiato la loro vita".
"Quando sono entrata in Senato dissi: io sono stata una richiedente asilo, so cosa vuol dire essere respinta".
Segre e suo padre riuscirono a fuggire in Svizzera, ma furono rimandati indietro. "Fummo arrestati. Mi ricordo come camminammo da progionieri. Con noi i francobolli di babbo, li buttò nel fango, pensava che non ci fosse più speranza".
La piccola Segre entrò in carcere. "Perchè? Non c'era una risposta".
Da un carcere all'altro finì a San Vittore, dove trascorse 40 giorni con il padre. "In quei giorni ero io sua madre".
DEPORTAZIONE "Poi arrivò la comunicazione che dovevamo partire per ignota destinazione".
"Si attraversò una Milano deserta. Fummo caricati sui vagoni a calci e pugni anche dai nostri vicini di casa, persone senza pietà. C'era paglia a terra e un secchio. Quel vagone era terribile, non c'era luce non c'era acqua. Solo la vicinanza con quelli che amavi. Per una settimana vidi passare l'Italia, poi il confine, poi l'Austria tra un pianto continuo, preghiere e il silenzio".
L'ADDIO E L'INGRESSO NEL CAMPO DELLA MORTE "Feci dei piccoli saluti a mio padre. Erano gli ultimi, ma non lo sapevo. Poi iniziai a cammibare dietro ad una trentina di donne. Camminando entrai nel campo di concentramento di Birkenau Auschwitz. Entrando pensai di essere impazzita. Era un inferno. Comimciammo a capire che avremmo dovuto dimenticare il nostro nome, diventammo un numero. Il mio si vede tatuato ancora perfettamente. Poi spogliate, rasate sotto le risate dei nazisti. Ci tolsero tutto. La nostra vita non c'era più".
"Io non capivo. Che posto era. Cosa c'era là in fondo, cosa era quell' edificio con la ciminiera da cui usciva il fumo?. Ce lo spiegarono delle ragazze francesi, che in un primo momento pensammo fossero pazze. Per una mente normale non era possibile credere che fossimo capitate in un posto del genere".
LA FABBRICA "Fortunatamente ero diventata un'operaia. Mi permetteva di scandire la giornata. Vedevamo gli uomini, cominciai a chiedere dove era mio papà. Poi smisi".
"La sera si tornava indietro e vedevamo la fiamma o il fumo dalla ciminiera. La notte dormivamo, non volevamo sentire i rumori del lager, i pianti, le urla di chi andava a l gas. Giorno dopo giorno diventavamo più egoiste. Non mi voltavo più a guardare i gruppi di cadaveri pronti ad essere bruciati" .
Dovevamo scegliere la vita, per questo non guardare, non ascoltare. Aggrapparci alle piccole cose della vita: una nuvola, un ricordo".
"Ero diventata orribile. Non accettavo più i distacchi. Non mi voltai quando un'amica francese con cui lavoravo ogni giorno in fabbrica venne mandata al gas. Il giorno dopo iniziai a lavorare con un'altra operaia che prese il suo posto. Era il gennaio 1945, cominciavamo a sentire il rumore degli aerei".
"NON HO PERDONATO Come non ho dimenticato".
LA MARCIA DELLA MORTE "Camminammo per mesi, per centinaia di chilometri perchè stavano arrivando i russi".
"TRovammo un cavallo morto, cominciammo a mangiarlo crudo. Eravamo orribili, eravamo morte dentro, ma volevamo vivere. In questa marcia abbiamo trovato cavalli morti, ma mai uomini. Mai nessuno ha aperto una finestra. Non sentivamo più niente, ma in un piccolo campo vedemmo la primavera, l'erba e gli alberi. La natura aveva fatto il suo corso. Passavano di lì dei prigionieri francesi ed erano diventati contadini ci dissero poverine. Fino a quel momento avevamo solo ricevuto parole orribili".
"Ci dissero che la guerra stava per finire e i tedeschi la stavano perdendo. Non morite ora, resistete".
"Decisi di non farmi vendetta, non presi la pistola per uccidere. In quel momento sono diventata la donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad ora". Così chiude commossa, il suo discorso la Segre, tra gli applausi scroscianti.
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