Con lui tutti nomi altisonanti che – stando alle indagini portate avanti per oltre due anni dai carabinieri del Noe di Sassari, dai sottufficiali e ufficiali della guardia costiera e della capitaneria di porto della Maddalena, dai funzionari dell’Arpa Sardegna, con la consulenza di un pool di esperti in inquinamento ambientale – avrebbero non soltanto eliminato dai fondali dell’arcipelago maddalenino veleni e idrocarburi d’ogni genere, ma ampliato l’inquinamento in aree sino ad allora pulite. Uno dei punti contestati alla “cricca della Maddalena” è la demolizione, a botte d’esplosivo, del Molo Carbone. Un’operazione semplicissima: l’intero manufatto venne fatto saltare in aria e i detriti lasciati in fondo al mare. L’esplosivo che rimase venne bruciato dietro l’ex ospedale militare, innescando un’incendio che i vigili del fuoco impiegarono ore per domare. Il tutto con la copertura del segreto di Stato, una “coperta” che venne utilizzata per nascondere le diverse manchevolezze e la reale destinazione delle 40 mila tonnellate di materiale altamente tossico e inquinante che risulta dragato dal mare maddalenino. A questo si deve aggiungere che l’intera area dovrà essere sottoposta a nuove bonifiche, mentre circa ventimila metri quadrati di fondale non sono mai stati bonificati.
«Abbiamo chiamato i migliori esperti internazionali del settore ambientale per ripulire questo mare», ripeteva Guido Bertolaso alle diverse delegazioni che visitavano il cantiere. Uno specchio di mare ancora interdetto alla navigazione, sosta, pesca e balneazione e che avrebbe dovuto essere il volano per la «portualità e ricettività marittima».
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