Il papà di V. fa il muratore.
Proprio così.
Se gli chiedi che lavoro fa, lui risponde: “Il muratore”.
Non il manovale.
Non un generico “lavoro nel campo edile”.
Te lo soffia in faccia.
Perché lui non urla e non alza nemmeno la voce.
V. ha ventidue anni. E’ carina, V. E’ dolcissima. V. è una ragazza affetta da sindrome di down.
Ha trovato un lavoro che le piace tantissimo.
Fa la cameriera alla Locanda dei Girasoli.
Non è un vero e proprio ristorante, è una cooperativa in cui sono occupati molti ragazzi con sindrome di down.
Non cerca utili, questo locale nella periferia sud di Roma.
Cerca di non chiudere, nonostante tutto.
V. e il suo papà vivono a Tivoli e Tivoli è a 35 chilometri da Roma.
“Dal ristorante a casa sono36 chilometri e mezzo” precisa il papà di V. mentre si accende una sigaretta.
“E lui tutte le sere fa avanti e indietro?”.
“Sì”.
“Dal ristorante a casa sono
“E lui tutte le sere fa avanti e indietro?”.
“Sì”.
Lo dice come se fosse la cosa più normale del mondo.
Come se non capisse la domanda.
Mettetevi nei panni del papà di V. … 80 chilometri ogni giorno.
Mettetevi nei panni del papà di V. … 80 chilometri ogni giorno.
“Perché, tu non sei padre?”.
“Sì”.
“E allora? Non capisci?”.
“Sì”.
“E allora? Non capisci?”.
Il papà di V. si alza alle 5 del mattino.
Ogni giorno.
Va in cantiere, torna a casa, si fa una doccia, prende l’auto e accompagna V. al ristorante.
“E cosa fa mentre sua figlia lavora?”.
“Dormo”.
“Dorme?”.
“Mi riposo in auto”.
Sto per dire qualcosa, ma V. si affaccia per vedere che fine abbia fatto, o, più probabilmente, per sapere come sta suo papà.
“Guarda”.
“Cosa?” chiedo.
“Non vedi quanto è felice?”.
“Ma scusi … non c’è un servizio … che ne so, del Comune … qualcuno che può accompagnarla … ”.
“No, non c’è”, dice il papà di V., spegnendo la sigaretta e rientrando in auto.
“E cosa fa mentre sua figlia lavora?”.
“Dormo”.
“Dorme?”.
“Mi riposo in auto”.
Sto per dire qualcosa, ma V. si affaccia per vedere che fine abbia fatto, o, più probabilmente, per sapere come sta suo papà.
“Guarda”.
“Cosa?” chiedo.
“Non vedi quanto è felice?”.
“Ma scusi … non c’è un servizio … che ne so, del Comune … qualcuno che può accompagnarla … ”.
“No, non c’è”, dice il papà di V., spegnendo la sigaretta e rientrando in auto.
Non sa che farsene del mio pietismo da riporto.
Della mia indignazione prêt-à-porter.
“Se vuoi scusarmi, mi metto a riposare che ho ancora venti minuti”.
“Se vuoi scusarmi, mi metto a riposare che ho ancora venti minuti”.
Provate a mettervi nei panni del papà di V..
Leggo la prima pagina de “il Fatto” di mercoledì scorso: “In ostriche e champagne i fondi per i disabili”.
Leggo la prima pagina de “il Fatto” di mercoledì scorso: “In ostriche e champagne i fondi per i disabili”.
Provate a mettervi nei panni del papà di V., adesso.
Perché io davvero non ci riesco.
P.S.: V. non lavora più alla “Locanda dei Girasoli”.
Ho ricevuto una mail che mi diceva che sono in grandissima difficoltà.
Se qualcuno volesse fare qualcosa di concreto può andarli a trovare.
La pizza è buonissima e si spende poco.
Questo è il loro sito www.lalocandadeigirasoli.it .
Cosa c’entra con questo blog e con la cultura e il turismo?
C’entra, eccome se c’entra!
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