SAMUGHEO. L'umidità che il versante della montagna spinge sul paese gela la serata e accompagna il buio. Il freddo copre invisibile la casa della famiglia Urru. Ma anche tra le pareti di questa casa vuotata del calore di una figlia quattro mesi fa, il clima è tornato come quel 23 ottobre. Manca poco alla mezzanotte, come quel giorno del rapimento nel Saharawi, e su Rossella ancora non c'è la conferma ufficiale dellla liberazione tanto attesa in questo primo sabato di marzo. Graziano, il papà, Marisa, la mamma, Marco, il fratello maggiore, sono disperati. Di nuovo.
Si spegne così una giornata esplosa verso la festa a mezzogiorno in punto, quando si è diffusa la prima notizia: Rossella Urru è stata liberata dalla prigione dei criminali che si erano appropriati della sua vita con una incursione violenta nel campo dei cooperanti, nel Sahara del sud, dove la ragazza di Samugheo ha scelto di dedicare la vita al prossimo, primi fra tutti i bambini privi di autonomia completa.
La speranza avvolge tutti: il paese, la Sardegna, l'Italia, l'Europa. La Spagna, vicina nella sventura con il rapimento di due suoi cooperanti. La famiglia è pronta a riabbracciare la figlia. Ci vorrà tempo per riorganizzare il rientro. Forse un giorno, forse due. Ma no, probabilmente si riuscirà a organizzare il rientro a casa nella tarda serata di questo stesso sabato.
Alle due del pomeriggio i genitori e il fratello sono a casa. Non hanno notizie ufficiali. Vedono e ascoltano qualche telegiornale. La notizia sembra attendibile, vera. Il sinda
co Antonello Demelas e don Alessandro Floris, il giovane e instancabile parroco, sono anche loro nella casa di via Brigata Sassari. Al numero 32. Il cancello che s'apre sul marciapiede con un pulsante elettrico interno permette l'accesso di parenti e amici, i più stretti, le persone che sono state vicine in questi 133 giorni.
Sul balcone al primo piano, il lenzuolo a colori espone l'immagine di Rossella. Accanto i nomi dei genitori e dei fratelli Fausto e Mauro racchiusi nell'abbraccio della speranza coltivata e condivisa da migliaia di persone fin dal primo giorno: «Insieme ce la faremo». Quel traguardo sembra raggiunto. Quando manca un quarto d'ora alle tre del pomeriggio, il sindaco e il parroco escono dal portoncino, scendono la rampa esterna della scala. «Non ci sono notizie ufficiali».
Ma la speranza c'è, anche se non lo dicono e non lo possono dire con l'enfasi che può scatenare un dramma finalmente superato. Tuttavia quelle quattro parole restano scolpite. Quattro parole destinate a scandire il tempo lungo delle ore d'attesa. Una scansione che via via si carica d'ansia, fino a virare la speranza in preoccupazione, poi in tensione, fino a far risalire in superficie il dolore di quei primi giorni del rapimento. E ancora alla mutazione del messaggio in una sconfitta delle aspettative: «Non ci sono conferme ufficiali della liberazione».
Il sole cala a ovest ma illumina fino all'estremo raggio di luce la casa della famiglia Urru. Alle quattro e venticinque il sindaco rientra. Il volto teso. Dà il cambio al sacerdote in questo turno della solidarietà che non può essere spezzata. Da un'ora anche i carabinieri danno il segno della loro presenza. Testimoniano l'impegno dello Stato. Infondono conforto umano e aiutano la famiglia nei contatti con la Farnesina. Il ministero degli Esteri mantiene «il riserbo indispensabile», come dirà al cronista Margherita Boniver poco prima delle 20. Una cautela necessaria fino a che le persone rapite non siano tornate definitivamente e in piena condizione di sicurezza sotto la tutela dell'Italia.
Gli umori sono sempre più cupi. L'incertezza delle notizie è sempre più convulsa: è libera, non è libera. Quando ormai sono le 18 la situazione sembra precipitare. È ancora il sindaco Demelas a spiegare che i genitori stanno rivivendo il tormento di quelle ore del 23 ottobre. Le voci si rincorrono. Mentre qualche telegiornale si spinge a raccontare un inverosimile clima di festa, davanti all'abitazione arrivano notizie di tutt'altro tenore: le trattative per la liberazione di Rossella e dei due cooperanti spagnoli si sarebbero impantanate nella richiesta di un riscatto di trenta milioni.
Zie, zii, cugini, amici, vicini continuano a suonare il campanello. Entrano, vanno via poco dopo. La porta si apre, qualche familiare sporge il viso. Un'iniezione di tristezza trasferita ai giornalisti, ai fotografi, agli operatori che stazionano davanti all'abitazione nell'attesa di poter gioire con Marisa, Graziano, Fausto e Marco, di poter dare testimonianza al mondo di quella gioia ritrovata. È una soddisfazione che non arriva fino alla mezzanote di ieri sera. La casa è illuminata dalle lampade interne. Da ormai alcune ore la porta è chiusa. Il via vai cessato. L'ultima dolorosa sintesi della giornata è nelle parole di don Alessandro, quando a tarda sera ribadisce che sulla liberazione di Rossella non c'è alcuna conferma ufficiale.
Via Brigata Sassari si svuota. I lampioni pubblici diffondo una luce gialla bassa che non riesce a smorzare il messaggio dello striscione al balconcino del primo piano: «Insieme ce la faremo». È la speranza che continua anche oggi a sostenere la conclusione felice di questa vicenda. Perchè è mancata la conferma ufficiale, ma non la notizia della liberazione.
( Gianpaolo Meloni )
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