Il gioco d’azzardo consuma le famiglie, rovina matrimoni, corrompe i giovani che, con paghette inspiegabilmente ricche, buttano i soldi nello slot e nelle scommesse. Un mondo sommerso che solo in minima parte emerge diventando un caso clinico. Sono 75 i pazienti in cura al Serd, il servizio dipendenze dell’Asl. Dipendenti dal gioco come dall’alcol e dalle droghe.
«Ma contagiati in modo ancora più subdolo – dice il direttore generale dell’Asl Alessandro Mauri – perché a differenza del fumo, per il quale si mette in guardia il consumatore con avvertenze sul pacchetto di sigarette, il gioco d’azzardo è addirittura pubblicizzato in tv e dilaga su Internet». Si stima che siano 700mila in Lombardia le persone che giocano d’azzardo ma solo 1400 si sono rivolte ai servizi per seguire una terapia. «Arrivano al Serd solo quando la situazione sociale e familiare è degenerata – spiega Paolo Sanbartolomeo, responsabile del servizio dipendenze dell’Asl–. In molti casi sono i familiari a contattarci, schiacciati dal carico economico».
Un problema in crescita. Nel 2007 i malati di gioco in cura erano solo 21. Il balzo nel 2010 (65) e quest’anno 10 in più. I sessanta uomini per i quali è stata fatta una vera e propria diagnosi hanno un’età media di 42-43 anni. Per le donne si alza un po’: sono 15 e hanno tra i 50 e i 56 anni. Sono operai e impiegati, con licenzia media inferiore, quelli che più si lasciano ammaliare dall’azzardo. Ma un 9% è senza lavoro. Le donne che giocano, invece, sono in prelavenza sole e pensionate. Per molti di loro si associano anche patologie psichiatrice, deficit affettivo, disturbi borderline.
«Ma contagiati in modo ancora più subdolo – dice il direttore generale dell’Asl Alessandro Mauri – perché a differenza del fumo, per il quale si mette in guardia il consumatore con avvertenze sul pacchetto di sigarette, il gioco d’azzardo è addirittura pubblicizzato in tv e dilaga su Internet». Si stima che siano 700mila in Lombardia le persone che giocano d’azzardo ma solo 1400 si sono rivolte ai servizi per seguire una terapia. «Arrivano al Serd solo quando la situazione sociale e familiare è degenerata – spiega Paolo Sanbartolomeo, responsabile del servizio dipendenze dell’Asl–. In molti casi sono i familiari a contattarci, schiacciati dal carico economico».
Un problema in crescita. Nel 2007 i malati di gioco in cura erano solo 21. Il balzo nel 2010 (65) e quest’anno 10 in più. I sessanta uomini per i quali è stata fatta una vera e propria diagnosi hanno un’età media di 42-43 anni. Per le donne si alza un po’: sono 15 e hanno tra i 50 e i 56 anni. Sono operai e impiegati, con licenzia media inferiore, quelli che più si lasciano ammaliare dall’azzardo. Ma un 9% è senza lavoro. Le donne che giocano, invece, sono in prelavenza sole e pensionate. Per molti di loro si associano anche patologie psichiatrice, deficit affettivo, disturbi borderline.
Ma c’è una fetta consistente che non si rivolge ai servizi ma viene intercettata, a distanza, da chi opera nel settore: sono i giovani. Anzi i giovanissimi. E gli stranieri. «Facciamo un monitoraggio costante sulle dipendenze nelle scuole medie e superiori – spiega Simone Feder, psicologo della Casa del Giovane –. E in un recente questionario, distribuito a 300 ragazzi di terza media, è emerso che il 25% ha giocato nell’ultima settimana, il 53% nell’ultimo mese. Il motore è la ricerca di sensazioni estreme. La spinta compulsiva aziona i neurotrasmettitori che mettono in circolo la dopamina. Sono come in preda a un raptus. Se chiedi loro quanto hanno scommesso non te lo sanno dire». Ma il vizietto tra i giovani non ha le ricadute immediate che invece provoca su una famiglia o su un anziano. «Ci sono persone che finiscono nelle mani degli usurai, per ripianare i debiti di gioco – dice Feder – Pensionati rovinati, gente che ha bruciato anche 70mila euro e ipotecato la casa».
La dipendenza si cura al Serd e nei centri accreditati. Ma la cosa più difficile è avere la diagnosi di “disturbo complusivo-impulsivo”. L’Asl riceve nelle sue tre sedi (Pavia, Vigevano e Voghera) per visite e colloqui. Ma organizza solo a Pavia i gruppi per i pazienti (otto incontri di due ore ciascuno, dalle 16 alle 18) e per i familiari (tre incontri di un’ora e mezza dalle 16.30 alle 18).
15 marzo 2012
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