L'operaio, 44 anni, da 9 e mezzo alle dipendenze di un'azienda chimica alle porte di Bergamo, venne licenziato nel giugno del 2010 durante un periodo di infortunio: era stato accusato dall'azienda di essere andato a lavorare presso un'altra impresa durante l'assenza. Da allora, anche a causa dei postumi dell'infortunio, non è più riuscito a trovare un'occupazione.
Con l'assistenza dell'Ufficio Vertenze della Cgil di Bergamo, nell'ottobre del 2010 è stato presentato un ricorso. Oggi poco dopo mezzogiorno è arrivata la sentenza, pronunciata dal Giudice Antonella Troisi: l'azienda è stata condannata a pagare tutte le mensilità perse dal giugno 2010 fino al reintegro effettivo dell'operaio al suo posto.
«Accusato di "violazione degli obblighi di fedeltà" dopo quasi 10 anni di lavoro, oggi il lavoratore ha visto riconoscere la propria totale lealtà nei confronti del datore di lavoro e, conseguentemente, ha visto sancire il diritto di rientrare a testa alta all'interno dell'azienda dove ha sempre lavorato. Il senso ultimo dell'articolo 18 è dunque la salvaguardia della dignità del lavoratore e la tutela del lavoro, che la monetizzazione certamente svilisce.
«Questa sentenza assume un significato particolare alla luce delle nuove norme che adotterà unilateralmente il Governo: in un caso come questo di licenziamento disciplinare, secondo le regole che si profilano, il lavoratore non avrebbe avuto certezza di reintegro - Infatti il reintegro sarebbe stato affidato alla decisione del Giudice, il quale con le nuove norme avrebbe potuto optare per la soluzione economica, mentre oggi la legge gli impone il reintegro. In sostanza, oggi spetta al lavoratore scegliere tra le due opzioni, soldi oppure posto di lavoro, mentre domani a decidere sarà un terzo, il giudice, che dovrà decidere secondo criteri ancora poco chiari».
Da l'eco di Bergamo.
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