Nel vecchio continente il divario per quanto riguarda gli stipendi si attesta attorno al 16,4%, una media dove si trovano i picchi dell’Estonia (27 per cento) e il virtuosismo della Polonia (2 per cento), una tendenza fortunatamente al ribasso se si considera che fino a qualche anno fa era del 17 per cento. Ma c’è ancora molto gap salariale da colmare.
In Italia il divario è di circa cinque punti, ma è calcolato come la differenza media nella retribuzione oraria lorda fra donne e uomini, quindi è meno preciso della statistiche nazionali ben più gravi in certi settori.
Il fenomeno rispecchia le difficoltà nel conciliare lavoro e vita privata: molte si vedono infatti costrette a prendere congedi di maternità o a lavorare part-time. Nonostante un timido miglioramento complessivo della tendenza, il divario tende ad allargarsi in alcuni Stati membri come Bulgaria, Francia, Lettonia, Ungheria, Portogallo e Romania.
È il vice presidente della Commissione Europea, Viviane Reding, a sottolineare l’importanza dell’Equal Day e il suo significato:
«Le attività di sensibilizzazione sono fondamentali per informare i datori di lavoro, i dipendenti e le parti interessate sul perché sussiste un divario salariale tra donne e uomini e su come sia possibile ridurlo.»
Il lavoro dell’EU si sta orientando verso diversi approcci, come la creazione di software per le aziende, momenti di scambio di buone pratiche delle aziende europee, e naturalmente interventi normativi in accordo con gli Stati membri.
La questione è nota: quando le donne nascono hanno le stesse condizioni di partenza, idealmente, ma poi in realtà, nonostante abbiano risultati scolastici migliori, pagano il detrimento di valore del loro lavoro, messo in pericolo dalla nascita di un figlio, che si traduce in minori compensi e in minori pensioni.
Fonte: Viviane Reding, Equal Day
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