A questo proposito sono stati ascoltati due collaboratori che hanno confermato la presenza di una ragazza romena nella casa di via Marzorati della “7 laghi” e una dipendente che ha raccontato un episodio in cui il primo cittadino chiese di trovare un lavoro a una ragazza.
Il clou della mattina è stata la testimonianza di Silvio Pieretti, il dipendente regionale che dall’inizio degli anni novanta era stato distaccato al comune di Varese per gestire le attività sociali con gli stranieri, compresa la famosa casa di via Vetta d’Italia, utilizzata per dare asilo ai bisognosi. In sostanza Pieretti ha detto due cose importanti. Ha confermato che l’amica romena del sindaco soggiornò in quella casa e che quando lui le ordinò di andare via subì pesanti ritorsioni. «Mi hanno tartassato», ha detto, e andò in pensione quando, il sindaco Fumagalli, l’aveva ormai fatto emarginare. («Non si può fare il don Chisciotte tutta la vita»). Pieretti ha anche confermato che fu l’autista del sindaco a dirgli che la ragazza doveva stare in quella casa (da qui la contestazione del reato di peculato) ma l’ordine era di Fumagalli. Quando Pieretti fece resistenze gli fu detto che ne avrebbe pagato le conseguenze. «Perché non denunciò? » gli ha chiesto l’avvocato Cicorella. «Perché non dovevo essere io a farlo, io riferii tutto al mio dirigente e all’assessore». Il testimone ha raccontato che quest’ultimo, William Malnati, era al corrente della vicenda della romena nella casa comunale, ma secondo Pieretti era anch’egli tra l’incudine e il martello poiché era stato nominato proprio da Fumagalli, che avrebbe quindi potuto revocarlo.
Nessun commento:
Posta un commento
LASCIA UN TUO COMMENTO