A ssegni spariti o falsificati. Fallimenti a catena e amicizie pericolose. Un “tesoro” ottenuto da un (ex) amico ammanicato alla peggiore Prima Repubblica, che oggi lo accusa di averlo ridotto sul lastrico. E una serie di acrobazie finanziarie - sul filo di due inchieste archiviate per un pelo - che ne raccontano un passato finora ignoto, in cui parrebbe aver messo da parte non si sa come almeno due miliardi delle vecchie lire. Decisivi a fargli spiccare quel salto di qualità politico, sotto forma di sostegno alle campagne elettorali, dopo il quale è stato proiettato nell’Olimpo Padano. Chi è, il potente tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito? Chi è il piccolo impresario delle pulizie oggi 41enne divenuto sottosegretario alla semplificazione normativa nell’ultimo governo Berlusconi, oltre che amministratore d’un patrimonio da oltre 22 milioni di euro in contributi elettorali pubblici nel solo 2010? Cosa c’è nella vita precedente dell’uomo inviso all’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, ma legato da un filo rosso con Umberto
Bossi?
Il suo nome, recentemente, era finito alla ribalta poiché s’era scoperto che il denaro pagato dagli italiani per foraggiare la Lega (la sua fetta di «contributo per il rimborso delle spese elettorali») era stato dirottato in Tanzania e a Cipro. E però oggi Il Secolo XIX è in grado di ripercorrere, documenti inediti alla mano, un ottovolante di miliardi, avvisi di garanzia, crac, affari immobiliari e alleanze a dir poco avventurose. L’antefatto della sua storia politica, sempre in simbiosi con un fiume di soldi. Per orientarsi bisogna partire dal caso d’una strana azienda creata a Genova, la Cooperativa servizi tecnologici Liguria, srl dichiarata fallita nel capoluogo ligure il 16 novembre 2000. Belsito, genovese, fa parte del consiglio d’amministrazione dall’11 ottobre 1998 al 17 luglio 1999. Con lui, sebbene esca formalmente tre mesi prima, entra Ermanno Pleba. Un personaggio da appuntare: ex fedelissimo della Democrazia Cristiana piazzato in varie società semipubbliche fino agli anni ’90, racconta oggi di aver perso un miliardo e quattro appartamenti per colpa dello stesso Belsito. Di cui è stato compagno di business, sponsor e finanziatore indefesso al limite del patologico.
Quando va a carte quarantotto la Cost Liguria (sulla carta specializzata in «installazione, manutenzione civile, industriale e navale di sistemi e impianti elettrici, termoidraulici, sicurezza, condizionamento, telematici, di costruzioni, ristrutturazioni e manutenzioni edili») è nominato curatore fallimentare Paolo Lanzillotta. È lui a spedire in tribunale il dossier che fotografa l’andamento del gruppo. E il primo a finire nel mirino è Massimo Varanzi, amministratore delegato, un faccendiere che patteggerà. Ma come si comportava il suo collega e futuro tesoriere della Lega, Belsito, nella veste di «amministratore Cost» che vanterà pure nei curricula degli anni a venire, le referenze che lo porteranno fra le innumerevoli cariche a fare il vicepresidente di Fincantieri? «Si segnala - scrive Lanzillotta - la querela presentata dal signor Varanzi nei confronti di terzi (Belsito e Pleba, ndr) in cui emergono presunte truffe e raggiri perpetrati alla cooperativa stessa. E che sono all’origine, per il presidente, del dissesto».
«DISSESTI FINANZIARI CREATI DA COMMESSE FASULLE»
Il perito la mette giù cruda: «Lo scrivente (una figura “terza” rispetto ai vari protagonisti, ndr) ha potuto accertare l’emissione non giustificata di assegni, cambiali ed effetti ai signori Pleba (l’ex amico che la Dc piazzava nei cda di mezza Genova, ndr) e Belsito, già amministratori della fallita cooperativa Cost service srl». Da dove spuntava la Cost Service srl? Era una matrioska su scala ridotta della Cost Liguria, che doveva farle da intermediario e fallì. «Io - dice oggi Pleba - nella Cost Service misi tutti i soldi, mezzo miliardo di lire portati in valigette. E li persi. Belsito è sempre stato bravissimo a giocare con i contanti degli altri». Scrive ancora il curatore: «Il signor Varanzi... ha dichiarato che la causa unica e principale del dissesto (della sorella maggiore Cost Liguria, ndr) è correlata alla sottoscrizione di alcuni contratti di appalto di notevoli dimensioni con primarie società genovesi... a fronte di tali contratti, stipulati con l’intermediazione di Pleba e Belsito, poi rivelatisi fasulli in quanto contraffatti e falsificati nelle firme, la cooperativa effettuava corposi investimenti indebitandosi con le banche». L’analisi è datata 3 dicembre 2000: «Poiché gli appalti non sono poi partiti, la società si è trovata in crisi di liquidità».
«PRESE 625 MILIONI NON DOVUTI ABUSI DELLA CARTA AZIENDALE»
Tre anni dopo, il 2 febbraio 2004 e mentre la carriera di Francesco Belsito avanza, il solito Lanzillotta scrive al sostituto procuratore Valeria Fazio. Le indagini per bancarotta e fatture false, con Belsito indagato, si trascinano da un pm all’altro. Ma l’esperto non ha dubbi, nell’indicare le virtù amministrative del politico che qualche anno più tardi gestirà il tesoro del terzo partito italiano. Rileva nuovamente «l’emissione non giustificata di assegni e cambiali a suo favore». E quantifica: «Per un importo di lire 625 milioni 36 mila e 500». Non solo: «Per Belsito sono stati raccolti assegni firmati dallo stesso a nome della cooperativa per spese non giustificate, e assegni non intestati e firmati a nome di Varanzi con firma, a dire di quest’ultimo, falsificata». Varanzi sintetizzerà in 700 milioni il suo «credito» nei confronti dell’ex sottosegretario. Ricapitolando: la società di cui Belsito è stato amministratore fallisce. Il perito che deve spiegare perché, riferisce che buona parte del «dissesto» è legato alle triangolazioni con un’altra azienda da lui gestita, finita malissimo. E il futuro tesoriere della Lega s’è intascato, parola sempre del curatore, oltre 600 milioni senza motivo, intestandosi assegni di cui vengono fornite le matrici (Il Secolo XIX ne possiede copia). C’è inoltre il sospetto che si sia “girato” altri cheque, taroccando firme altrui. Interessante il paragrafo sull’uso della carta di credito: «Non sono riuscito a reperire nei documenti contabili gli estratti, fatta eccezione per una utilizzata da Belsito. Emergono numerosi acquisti apparentemente non giustificati e presumibilmente effettuati a titolo personale. Tali addebiti venivano imputati come “acquisti carte di credito”, senza specifica imputazione».
«INSIEME PREPARAMMO LE FATTURE FALSE»
Oltre a Lanzillotta, Belsito ha un altro accusatore, meno autorevole ma che su di lui non si contraddice mai. É Massimo Varanzi, il presidente del cda nella sfortunata Cost Liguria. Quello che alla fine si ritroverà con il cerino in mano, unico condannato. Per scagionare Belsito dagli addebiti penali, i pm riterranno sufficiente la data di uscita “ufficiale” dal consiglio di amministrazione, antecedente l’emissione di una serie di maxi-fatture farlocche: «In realtà - dice oggi l’ex socio Pleba - faceva sempre tutto lui». Varanzi lo aveva messo a verbale già dieci anni prima: alla squadra mobile di Genova, al curatore fallimentare, alla Guardia di finanza, infine a due magistrati. Un trafficone (e pregiudicato) senza ombra di dubbio, Varanzi. Che però, su Belsito, ribadisce sempre la stessa versione: «Fui obbligato a introdurre Pleba e Belsito nel consiglio d’amministrazione, perché minacciavano di farmi perdere tutto... Si portarono nella loro società Cost Service, da cui mi avevano estromesso, gli appalti della mia Cost Liguria, rovinandomi». «Con l’aiuto dei collaboratori scoprii che avevano falsificato la mia firma, apponendola su cambiali, assegni, documenti e altro, e che avevano depositato la propria su alcune delle mie banche, riuscendo a versare e immediatamente dopo prelevare somme di cui ignoro la provenienza. Ritengo che il mio conto possa essere servito quale mezzo per ripulire denaro di dubbia provenienza».
NESSUNA CONTRO-QUERELA ALLE ACCUSE DELL’EX SOCIO
E le fatture false? «Belsito, in qualità di effettivo amministratore Costa Liguria, ha provveduto a a compilare i documenti fasulli concordati». Andò davvero così? A Belsito lo chiedono in uno dei sette interrogatori ai quali fu sottoposto a palazzo di giustizia , tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001, i cui verbali sono rimasti sepolti per anni. Il leghista dice che è tutta una montatura di Varanzi. Ma non può negare qualche scheletro nell’armadio. A proposito d’una cambiale di svariati milioni da siglare in favore di un altro socio, per esempio, ammette: «Varanzi mi disse di firmare pure io (anche se in quel momento non poteva) tranquillamente. L’ho fatto cercando d’imitare la sua grafia, da lì in poi ho saputo che il fatto era diventato notorio e mi facevano passare come un falsario». L’attuale tesoriere della Lega Nord assicura ai magistrati che denuncerà il suo accusatore per calunnia. «Non risulta - dice l’avvocato Pietro Bogliolo, difensore di Varanzi fino al 2005 - lo abbia fatto nei tempi utili».
Il Secolo XIX, ricomposti i documenti e le carte delle varie inchieste, ieri ha provato a contattare Belsito sul cellulare, senza ottenere risposta neppure dopo aver lasciato un messaggio in segreteria.
( dal Secolo xix )
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