L'Italia è a un passo dalla messa in mora per le sue norme sulla sicurezza sul lavoro: il decreto legge del 2009, con cui il governo Berlusconi ha smantellato il Testo unico sulla Sicurezza, rischia adesso di costare milioni di euro di multa al Paese.
La Commissione Europea ha deciso infatti di avviare la procedura contro l'Italia, contestando come il decreto violi le leggi europee in almeno sei punti, uno più grave dell'altro
: deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega, proroga per la redazione del documento di valutazione rischi per le nuove imprese, violazione dell'obbligo di disporre di una valutazione dei rischi per le imprese fino a dieci lavoratori, posticipazione dell'obbligo di valutazione del rischio di stress da lavoro, posticipazione dell'applicazione delle normative sulle salute e sulla sicurezza sul posto di lavoro per cooperative e protezione civile, proroga nell'applicazione delle misure antincendio per le strutture alberghiere con oltre venticinque posti letto.
Deleghe, posticipazioni ed eccezioni che la maggioranza ha giustificato con la necessità di 'semplificare' la burocrazia italiana, ma che invece si sono rivelate norme contrarie al diritto europeo e pericolose (in maniera più o meno diretta) per la salute e l'incolumità dei lavoratori.
Il risultato è che adesso il governo ha due mesi per inviare le sue osservazioni alla Commissione: se queste non dovessero convincere, l'Italia avrà altri due mesi per adeguare le sue leggi a quelle europee o dovrà pagare una multa molto salata, dai 22mila ai 700mila euro per ogni giorno passato senza regolarizzare la situazione.
La possibile messa in mora dell'Italia per le sue leggi sulla sicurezza sul lavoro è il risultato della battaglia personale di un operaio, Marco Bazzoni, per i diritti di tutti i lavoratori. Una battaglia durata due anni, nel totale disinteresse di sindacati e partiti politici.
«Dopo l'approvazione del decreto 106/2009 ho scritto una lettera aperta al Presidente della Repubblica, finita sul quotidiano Liberazione, a cui l'ufficio stampa del Quirinale rispose che non erano presenti incompatibilità costituzionali nel decreto», spiega a l'Espresso Bazzoni, operaio della provincia di Firenze, responsabile per la sicurezza nell'azienda in cui lavora e già promotore di una campagna contro lo spot sulla sicurezza del lavoro voluto da Sacconi ( leggi), «Mi sono rivolto allora ai sindacati e a diversi partiti perché appoggiassero la mia battaglia contro questa legge, ma nessuno mi ha ascoltato».
Bazzoni, convinto del pericolo rappresentato dal decreto 196/2009 e della sua incostituzionalità, decide di andare avanti da solo e, visto che un singolo cittadino non può appellarsi alla Corte Costituzionale, sceglie di inviare la sua denuncia alla Commissione Europea nell'estate del 2009. Inizia tutto con una mail, scritta con la collaborazione di un amico ingegnere, in cui segnala le difformità del decreto approvato rispetto alla normativa continentale descritta nella direttiva 89/391 Cee. La segnalazione viene protocollata, e la Commissione decide di indagare sulla conformità con le direttive comunitarie.
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