martedì 11 ottobre 2011

Dalla tassa sul macinato alla tassa sul grasso

Dopo il governo danese, anche quello britannico di Cameron sta seriamente pensando di mettere una tassa sul burro e sui cibi unti, con l’obiettivo moraleggiante di convertire eserciti di obesi al pinzimonio e la speranza cinica di utilizzare la gola dei grassoni per rimpinguare le casse emaciate dello Stato. Mi rendo conto

che nei periodi di vacche magre tutto fa brodo, soprattutto i grassi. Inoltre dicono che si tratterebbe di una forma di autofinanziamento: i soldi dell’imposta serviranno a pagare le cure mediche degli obesi, che pesano sulle tasche dell’intera comunità. In Danimarca, forse. In Inghilterra già ne dubito. Mentre nei Paesi dell’Europa mediterranea (ve ne viene in mente qualcuno?) ho la ragionevole certezza che, prima di raggiungere gli ospedali, i denari ricavati dalla ciccia si perderebbero fra i muscoli flaccidi del corpaccione burocratico, andando a rimpinguare la pancia mai sazia dei corrotti. Perché allora non finanziare con le tasse sui vizi una riduzione delle imposte sulle virtù? Se lo Stato vuole spingerci a comportamenti salutisti, otterrebbe molto meglio il suo scopo aiutandoci a pagare di meno le cose che fanno bene. Le quali, dalle energie pulite ai cibi biologici, sono invece le più care di tutte.

Inchiostro sprecato, lo so. Se la parificazione del burro agli alcolici è un formidabile segno dei tempi, rimane vecchissima la soluzione proposta: risolvere ogni problema mettendoci sopra un balzello. Un difetto da cui la politica obesa non vuole guarire. Tanto la tassa sui suoi vizi la paghiamo noi.

M. Gramellini

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